La situazione è nota: l’Italia vanta uno dei livelli più bassi di occupazione femminile a livello europeo. Stando a una ricerca della Fondazione Openpolis, il nostro Paese è al penultimo posto in UE, appena prima della Grecia: se nell’Unione Europea si riscontra mediamente una media del 66,5% di donne occupate tra i 32 e i 64 anni, in Italia ci si ferma appena al 52,5%. E i risultati peggiorano, come prevedibile, se si confrontano unicamente i dati di uomini e donne con figli.

Le ragioni sono molteplici, a partire dalla mancanza di un sostegno concreto per le madri che lavorano, fino ad arrivare ai tanti ostacoli che si frappongono di fronte alle donne che desiderano accedere a settori come quello scientifico e quello tecnologico.

Un sondaggio Lexis ci dice che solamente il 5% delle donne si sente realizzata a livello professionale, di fronte al 38% delle intervistate che, come obiettivo principale, ha proprio la realizzazione professionale. Eppure il 51% si dichiara convinta del fatto che la parità tra i sessi sia stata più o meno raggiunta: a mancare, in ogni caso, sembra essere la fiducia in sé stesse (la pensa così il 95% delle intervistate), nonché, per il 97% delle donne, la capacità di rivendicare l’equal pay.

«Senza ombra di dubbio quella dell’occupazione femminile è una questione che chiama in causa tanti temi diversi, dal welfare ai retaggi culturali, fino ad arrivare agli ancora presenti stereotipi di genere» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati.

«Di fronte ai dati scoraggianti relativi all’occupazione femminile in Italia va però sottolineata la presenza di un numero crescente di aziende che si stanno finalmente rendendo conto dell’importanza di avere donne anche e soprattutto in posizioni manageriali. Si pensi per esempio alle sfide dell’Industria 4.0: le donne vantano soft skills come capacità di ascolto e intuizione che risultano indispensabili per il nuovo stile di leadership».

I dati dimostrano però che il problema principale resta. Certo, una ricerca Eurispes dichiara che il 70% dei nuovi padri considera la crescita dei figli e il loro accudimento un’attività da dividere in modo uguale.

Eppure, nella realtà, il peso di gestire la famiglia grava ancora soprattutto sulle donne. E tutto questo si traduce in minori possibilità di carriera, in una riduzione del salario e via dicendo.

Ed è così che, ancora una volta, per tantissime donne, la realizzazione sul piano professionale si traduce in grandi sacrifici sul piano familiare, e viceversa.

Fonte: Il giornale delle pmi